MARVELIT. PRESENT:
UOMO RAGNO #56
BECOMING #1
Di Yuri
N. A. Lucia
Da Beppe “Er Più”, Tor Pignattara, Roma –
Giovedì ore 3.00 a.m.
La saracinesca era abbassata e
all’interno del piccolo locale si respirava un’atmosfera tranquilla, quasi
irreale se paragonata a quanto accadeva sino a poche ore prima. L’aria era
satura del buon odore che proveniva dalla cucina sui cui fornelli l’uomo
corpulento presentatogli come Beppe, stava spignattando allegramente da diversi
minuti.
Intanto l’insolito quartetto si
stava godendo un buon antipasto costituito da quelli che all’Uomo Ragno erano
stati presentati come Fiori di Zucca, una delizia che non aveva mai provato in
vita sua e di cui si era fatto dare immediatamente la ricetta.
“Devo assolutamente mettermi a sperimentare
in cucina con M.J. tutto quello che ho mangiato qui!”
Si disse tra sé e sé. Gli pareva
strano trovarsi lì in quel momento. C’era già stato con Romeo nei panni di
Peter Parker e nonostante l’aspetto caratteristico non avrebbe mai creduto che
fosse un ritrovo anche per vigilantes ed eroi in maschera.
Lanciò un occhiata in direzione
della cucina, mentre gustava un fiore, sperimentando con gioia il delizioso
sovrapporsi, sfumando poi l’uno nell’altro, della pastella, del fiore stesso e
dell’alice al suo interno.
“Non preoccuparti,” gli fece rugantino dandogli un
amichevole pacca sulla spalla, che un po’ gli dolse” è uno dei nostri.”
Il Ragno si voltò verso di lui, la
bocca atteggiata in un espressione piuttosto inequivocabile.
“Davvero?” Chiese un po’ tra lo
stupito e l’incredulo.
“Per la verità, era. Ormai è da
anni che è in pensione.”
“Scusa, mi vieni a dire una cosa
del genere? Non pensi che lui potrebbe non gradire sapere sbandierato il suo
segreto a destra e a manca?”
“Il suo segreto?” Si inserì ridacchiando nella
conversazione il giovane Polidori che aveva poggiato i piedi su di una delle
vecchie e logore sedie dell’osteria”
Lo sanno tutti cosa faceva e a lui non gli importa nulla. Rese pubblica la sua
identità ad un certo punto della sua carriera.”
“Perché?”
“Perché? Chi lo sa? Gli ho posto
anche io questa domanda, almeno una sessantina di volte e puntualmente ho
ricevuto una risposta diversa. Penso che neanche lui conosca esattamente il
motivo della propria decisione. Forse, ad un certo punto, il segreto era
divenuto troppo pesante da mantenere.”
“E così ha detto lo ha detto a
tutti?”
“Aveva una famiglia ma la sua
doppia vita glieli ha allontanati. Forse provava rimorso per non averglielo mai
detto e smascherarsi pubblicamente è stato un modo per riscattarsi.”
“Ma così facendo, non li ha messi
in pericolo?”
“No. Sono morti. Un incidente
stradale, diversi anni fa, mentre andavano a vedere il giuramento di suo figlio
maggiore che stava sotto le armi. Per lo shock il ragazzo perse il lume della
ragione e si suicidò poco dopo.”
“Oh Dio mio…”
“Non volevo rovinarti la nostra
cena di post mezzanotte ma era per farti capire quanto possa essere stato
tormentato dall’idea di non aver condiviso il proprio segreto con loro. Adesso
convive con una signora della sua età, un’altra del giro dei super eroi.”
“Accidenti! Non pensavo che in
Italia ce ne fossero tanti…”
“Credo che Rugantino te lo abbia
detto. Ci sono sempre stati, anche se qui li chiamavano in modo diverso ed
erano meno visibili di quelli che girano oggigiorno per gli States.”
“Ed ora come sta?” Chiese il
Tessiragnatele riferendosi al buon Beppe che stava assaggiando gli spaghetti
nel grande pentolone in cui ribolliva festosamente l’acqua. La risposta giunse
da Rugantino che si versò un po’ di rosso dei castelli, fece il gesto di
offrirne anche a lui. Dopo un attimo di incertezza, poiché non era un gran
bevitore, decise di accettare, vista l’occasione speciale.
“Sta bene. È felice con la nuova
compagna, e siccome è stato uno del giro, tutti noi cerchiamo di tenerlo
d’occhio, tante volte qualche bastardo si mettesse in testa idee strane su di
lui e la sua signora. Beppe è un istituzione qui a Roma e questo posto pure.
Dopo una ronda, o come nel nostro caso, un incontro con un peso massimo come
Quest, è l’ideale per chi vuole rifocillarsi e mangiare qualcosa di veramente
buono e casereccio. Qui vengono messe da parte divergenze e contrasti
personali, e ti assicuro che tra noi cosiddetti buoni, ce ne sono non pochi, e
si mangia tutti assieme. Capita che si brindi e si canti con qualcuno con cui
magari, poco prima, ti ci sei preso a pizze.” e dicendo ciò mimò uno schiaffo,
palesando all’interlocutore americano il significato di quella nuova parola che
subito andò a memorizzare abbozzando un sorriso.” È vietato ogni tipo di scontro nel locale o nei suoi immediati
dintorni, sia fisico che verbale. Considera questo posto territorio neutrale e
non di rado il vecchio fa da intermediario quando si vuole sistemare una
questione senza venire alle mani, anche con i balordi.”
“Trattate con i criminali?” Chiese
un po’ incredulo l’Uomo Ragno. L’affermazione di Rugantino fece drizzare le
orecchie a Warwolf, intento poco prima a sgranocchiare una bruschetta al
pomodoro.
“Si. Ovviamente è sottinteso che
dipende che criminale e il tipo di crimine di cui si sia macchiato. Se si
tratta di reati minori, o se servono delle informazioni, preferiamo non
ricorrere alle maniere forti. Sai, questa è la così detta flemma romana. Perché
usare il metodo più violento e pericoloso quando si può ricorrere al dialogo e
alla persuasione. Non sai quante situazione spiacevoli ho evitato così, e devo
dire anche grazie all’aiuto di Beppe. Tutti qui, si fidano di Er Più, da Tor Bella Monaca all’Appio
Latino, dallo Shangai a Viale Liegi. La sua parola è sacra e anche i
delinquentelli, comuni o dotati di poteri, tendono a considerarlo una specie di
nonno o zio saggio. Non ho ancora incontrato una persona che gli abbia mai
mancato di rispetto.”
“Anche perché se no il vecchio gli
ammolla un paio delle sue briscole!” Sentenziò Polidori, strappando una risata
a tutti.
“A ragazzì! È ‘n’ora che parlate wats american, Kansas city, però er
nome der sottoscritto ancora lo so ariconosce! Niente, niente me stesse a
cojonà? Occhio, dico a voi due signorini tutti agghindati, che se no, domani
sera, ai clienti je servo cojoni de somaro. Ce semo intesi?”
Rugantino e Polidori alzarono le
mani, Warwolf cercò di trattenere le risate e l’Uomo Ragno si chiese cosa
avesse detto l’oste.
Per un attimo si soffermò su
quella scena. Erano lì, in costume, seduti intorno ad un tavolino, incontratisi
solo da poco tempo, quattro storie completamente diverse e distanti,
soprattutto la sua dalle loro, quanto meno a livello spaziale. Sembrano amici
di vecchia data, commilitoni compagni di mille battaglie decisi a concedersi
una serata di svago normale, una pausa in un esistenza tutto altro che normale.
Era felice all’idea di ritornare a New York. Non vedeva l’ora di prendere
l’aereo alle 9.30 e poter riabbracciare la moglie e la figlia. Già si vedeva
sulla soglia di casa, la piccola May sgambettare allegra e trillante verso di
lui, Mary Jane con gli occhi pieni di quella luce che tante volte era stato il
suo sostentamento nei momenti in cui la tenebra minacciava di divorargli il
cuore. La sua famiglia, la ragione della sua vita. Eppure provò un moto di
dispiacere all’idea di separarsi da quelle persone che gli si erano dimostrate
così umane e disponibili e per cui, nonostante il breve tempo, nutriva un
grande rispetto. A casa, gli sarebbe piaciuto incontrare Matt, Johnny e Rucker,
e i suoi fratelli, Kaine e Ben. Amici, fratelli, compagni. Per anni era stato
un individualista e questo pensiero lo colpì con la forza di un pugno nello
stomaco. Per anni aveva contato solo su sé stesso ma ora sentiva più che mai il
bisogno di una compagnia fidata con cui parlare e con cui condividere i propri
pensieri. Guardò per un secondo Beppe, che gli parve l’uomo più felice del
mondo, nonostante il devastante dolore che certamente ancora si portava dentro
e nonostante fosse convinto non avrebbe mai rivelato il proprio segreto a tutti
come aveva fatto lui, non sarebbe mai più stato individualista come fino a quel
momento.
Preso il suo bicchiere, lo alzò
proponendo un brindisi.
“A cosa?” Chiese Warwolf. L’Uomo
Ragno lo fissò negli occhi dopo aver studiato rapidamente i suoi lineamenti da
lupo. Gli mise una mano sulla spalla, con delicatezza e affettuosamente disse:
“Ovvio: all’amicizia!”
La risposta dei commensali fu
corale.
Beppe, dalla cucina, li osservò
ridendo benevolo. Era bello poter vedere tanta gioventù impegnata nella sacra
missione venire lì a divertirsi e ritemprarsi. Era bello vedere che nonostante
le amarezze e le dure prove, riuscivano comunque a continuare a credere nei
valori fondamentali della vita. Si versò un goccio in un bicchiere sopra il
tavolaccio di legno su cui di solito impastava gli gnocchi e alzò il bicchiere,
non visto, verso la loro direzione e mormorò: “All’amicizia.”
East Side,
New York City – Venerdì ore 11.00 p.m.
L’Invincibile Deca-Squadra del
Senso del Decoro al Servizio della Libera Cittadinanza del Mondo era un po’
come il suo nome: pomposa e ridicola; i suoi membri si erano concentrati troppo
sulla questione del nome e delle uniformi, cambiati con un ritmo vertiginoso
nell’arco di pochi giorni ma decisamente poco sull’allenamento e sul gioco di
gruppo. Jester, o Flame Jaster, era invece uno che all’allenamento ci credeva e
lo considerava la cosa più importante, persino più importante dei poteri e dei
gadget che possedeva. Nella sua vita aveva lavorato sodo per raggiungere gli
obbiettivi prefissi, e nonostante la giovane età cominciava a farsi un nome
nell’ambiente del crimine, un nome pronunciato con un certo rispetto anche dai
colleghi più anziani. Evitò il Bisonte Umanoide, un ammasso di muscoli di nome
Irvin Zucherman, campione di football iscritto al primo anno dell’E.S.U. ma
decisamente scarso al di fuori del campo di gioco. Lo colpì con una pedata sul
fondo schiena e lo mandò a sbattere contro il Nano Magico, sul cui gusto nell’abbigliamento
e la reale utilità nel team ci sarebbe stato da discutere. I due finirono
rotolando contro un barbone che dormiva in un cartone lì vicino. Questi mandò
una serie di urla di terrore prima, e rabbiose bestemmie condite con una serie
di tetre minacce poi. Il Nano invece piangeva disperato sotto il peso del
compagno che, per la botta data ad uno scalino con la testa era svenuto. Da
sotto la maschera colava sangue sulla bocca, e il ragazzo dalla bassa statura
si divincolava sotto di lui, digrignando i denti e urlando disperato: si era
rotto una gamba e sentiva un male infernale.
Il Dottor R., la cui R. non stava
in realtà per nulla ma era solo una lettera scelta a caso tanto per trovarsi un
nome di battaglia, estrasse una sofisticata e costosissima pistola congelante.
Si trattava di un’arma derivata da uno dei primi modelli di costume di Blizzard
costatagli un occhio della testa, comprata da un ex membro del progetto Pegaso
poco onesto, e affamato di danaro. Jester si abbassò di scatto, facendo sì che
il raggio colpisse il Sergente Libertà Americana, il più patriottico tra i
membri della squadra. Le otturazioni di quest’ultimo saltarono per freddo, e
cadde contro la struttura in ferro di una scala anti incendio che vibrò
sinistramente. R. cacciò un mezzo urlo di disappunto, soffocato subito da un
secco colpo al pomo d’Adamo. Portò entrambe le mani alla gola, il volto
cianotico e sconvolto dalla paura, tentando di prendere aria. Un altro colpo,
stavolta un pugno diretto alla poco sotto il naso, un istante dopo essere
riuscito a respirare di nuovo e i sensi scivolarono nell’oblio.
Prima che Il Corazzato potesse
attivare il suo speciale Multi Teaser System, Jester sprigionò dalle mani una
fiamma plasmatica a bassa intensità. Il suo scoppio provocò un impulso E.M. che
bruciò i circuiti della sofisticata armatura, trasformandola in una trappola
dalla quale non era semplice uscire per il suo occupante.
Il Paper boy, sulla sua bici rossa
dalle fiammate dorate serigrafate, tentò di prendere alle spalle il criminale e
per un secondo, quasi riuscì nell’impresa ma quest’ultimo aveva visto
all’ultimo l’ombra e si era mosso lasciandolo finire contro il Corazzato.
L’impatto fu talmente violento che la ruota anteriore saltò via e la forcella
si storse. Nonostante il casco, cozzando contro l’elmo dell’amico, svenne.
Gli altri membri della squadra, G.
il Rottweiler del Bronx, Fabbro dei Sogni, Maniaco dell’Ordine, Lo Spione dal
sangue freddo e Lester il Magnifico Bevitore di Spirito Ancestrale, erano già
stesi. Fece il gesto di pulirsi le mani dalla polvere mentre sorrideva
soddisfatto: se quegli ebeti fossero stati meno cretini, si disse, con le loro
attrezzature e la superiorità numerica, avrebbero potuto soverchiarlo ed
invece…
Si spostò rapidamente, solo perché
aveva visto la figura riflessa nel vetro del seminterrato. L’oggetto che gli
aveva lanciato, una sorta di boomerang dalla curiosa forma di volatile
stilizzato colpì l’asfalto e dopo un lungo rimbalzo, tornò nelle mani di chi
l’aveva lanciato.
Lei era vestita con una tuta blu
scuro, forse in elastan, stivaletti con suola chiodata e lacci neri, guanti
dello stesso colore tagliati sulle punte delle dita, una corta mantellina che
cadeva sulle spalle, la maschera dalle lenti gialle che copriva gli occhi ed il
naso. Le ciocche bionde che cadevano sino
alle spalle, il sorriso serafico mentre brandiva blandamente l’arma che
poco prima gli aveva lanciato contro.
“Credevo cha la Deca-Squadra fosse
composta solo da dieci elementi! Non sapevo ce ne fosse un undicesimo.”
“La Deca-Scemenza è composta da
dieci babbei che hai messo k.o. senza troppi problemi.”
“Scommetto che ora mi dirai che
con te non sarà così facile.”
“Scommessa persa: con me sarà
impossibile.”
Fu rapida nel balzargli contro, e
per poco non riuscì a colpirlo in pieno volto con un colpo dato con il taglio
della mano, lui parò rapido usando l’avambraccio e tentò di assestarle un pugno
al ventre ma lei assecondò abilmente e gli dette una testata sul naso. Era
indietreggiato proprio in tempo altrimenti a quell’ora avrebbe avuto il volto
coperto di sangue. Eseguì una capriola all’indietro, e provò a prenderle il
mento con un doppio calcio ma non ci fu nulla da fare. Mise un po’ di distanza
e tornato in posizione eretta ansimò leggermente. Non era sicuramente una della
squadra: troppo abile e preparata; non centrava niente con quella risma di
buffoni mascherati.
“E bravo il nostro uccellino.” Disse osservando la maschera che
effettivamente ricordava il muso stilizzato di un uccello” Hai un nome? O devo chiamarti Madame X?”
“Blue Bird. Tienilo a mente per
quando ti chiederanno chi ti ha pestato a sangue.”
“Oh, andiamo ora sta…”
Jester non avevo visto la sfera
fumogena che lei aveva lasciato cadere in terra. La scura cortina si era alzata
quasi immediatamente e non era riuscito a trattenere in tempo il fiato. Un
pugno, poi un altro, e un altro ancora, sullo zigomo, al tronco, alla spalla.
Si voltò rapidamente, tentando di far fronte all’attacco ma senza successo. Le
stava prendendo e anche sonoramente. Doveva tirarsi fuori di lì alla svelta e
fece l’unica cosa che poteva fare. La fiammata al plasma si spanse rasente alla
strada, facendo disperdere la bolla di fumo in cui era intrappolato. Blue Bird
era saltata sul tettuccio di una vecchia auto arrugginita per evitare di finire
con le gambe arrosto.
Jester le mandò un sorriso ma, un
attimo prima che potesse fare qualsiasi cosa, venne colpito alle spalle.
L’Uomo Rana gli aveva dato una
forte spallata, mandandolo a sbattere contro il Bisonte Umano che proprio in
quel momento, aveva ripreso i sensi tentando di tirarsi nuovamente su. Il
colosso cadde nuovamente sul Nano Magico che per un istante, si riprese dallo
svenimento solo per urlare di nuovo e scivolare ancora una volta rapido
nell’oblio. Il barbone era terrorizzato ed osservava tremando la scena. Il
Corazzato era scivolato via dalla sua armatura dopo esser riuscito ad attivare
il sistema d’emergenza con la lingua al quindicesimo tentativo.
Jester tornò in piedi dandosi la
spinta con la schiena.
“Coraggioso l’amico,” osservò con
un ghigno divertito.
“C’è chi è tagliato per l’azione e
chi no,” controbatté tranquillo l’Uomo Rana.
“E tu chi saresti? Capitan
Cetriolo?”
“No.”
“Maledizione!” L’esclamazione di
Blue Bird fece girare entrambi. Lei guardò Eugene in preda alla rabbia e gli
urlò, “Sei solo un babbeo! Non ti avevo detto di non farti vedere più con quel
ridicolo costume addosso? Ti ho chiesto io di intervenire? Posso cavarmela
benissimo da sola!”
“Neanche io ti avevo chiesto di
intervenire per aiutarmi l’altra volta, eppure lo hai fatto lo stesso e così
eccomi qui per restituirti il favore, che tu lo voglia o no.”
“Non voglio che tu mi restituisca
nulla! Sei sordo o cosa? Non ho bisogno di te e non voglio vedere il tuo brutto
muso da rana!”
“Senti, capisco il tuo punto di
vista ma non ti pare di star esagerando?”
“Star esagerando? Star
esagerando?! Tu sei…”
“Time out!”
Entrambi si voltarono verso Jester
che stava con le mani sui fianchi e lanciava occhiate cariche di
disapprovazione prima all’uno e poi all’altra.
“Non ci posso credere! Non solo
venite qui cercando di catturarmi pestandomi per bene. Tentate pure di farmi
saltare i nervi con i vostri screzzi da fidanzatini.”
Blue Bird, paonazza in volto gli
urlò, “Io e lui non siamo…”
“Non me ne frega niente! Senti,
non so quale problema tu abbia con Capitan Cetriolo qui…”
“Uomo Rana!” Protestò vivacemente
il vigilante in verde.
“Uomo Rana, uomo vasca, uomo quel
che pare a te, non mi importa! Volevate provare a prendermi? Allora nel nome
del cielo, smettetela di litigare e dedicatevi a me!”
Rana e Bird si scambiarono un
occhiata di disappunto e dopo un attimo di silenzio fu il primo a parlare: “Non
avevo mai incontrato un criminale tanto ansioso di finire allo scontro. Siamo
più di te, sai che potrebbe anche finire male?”
“Oh! Due non bastano a prendermi.”
“E chi ti ha detto che siamo solo
in due.”
Sotto la maschera Jester corrugò
la fronte chiedendosi cosa volesse dire, e stavolta non poté far nulla per
evitare il laccio che gli si legò allo stivale. Phantom Rider, che reggeva
l’altro capo, tirò con forza e si ritrovò in terra. Grazie alla sua prontezza
di riflessi e all’allenamento riuscì ad evitare di farsi male sul serio, anche
se batté una spalla. Il vendicatore d’argento capì di aver esagerato ed esitò
un attimo. Un attimo di troppo. La fiammata plasmatica bruciò il cavo,
divorandolo e per reazione Phantom tornò ad essere invisibile. Jester si dette
lo slancio per tornare in piedi e nel farlo assestò un calcio diretto alla
mascella del difensore salterino che per sua fortuna, aveva migliorato
l’imbottitura dell’elmetto, evitando così una brutta e dolorosa frattura ma non
poté non finire sul marciapiede. La guerriera in blu, saltò dal tettuccio della
macchina dove era rimasta in posizione difensiva, lanciando un paio di bird-rang,
entrambi deviati da veloci mosse del criminale ma che le permisero di aprire le
sue difese e mettere a segno un pungo in pieno volto di questi che cominciò ad
arretrare stordito. Colpì tenendo i palmi delle mani semi aperti, assestando
colpi ovunque riuscisse a trovare un varco ma l’altro, anche se in difficoltà,
sembrava troppo preparato per farsi mettere sotto in quel modo e riuscì a
colpirla alla gola con un finger trust. Per lo shock e il dolore portò entrambe
le mani dove era arrivato il colpo mentre la Rana e Phantom urlarono
all’unisono, terrorizzati per quello che era successo. Jester staccò una sfera
fumogena dalla cintura di Bird e la ruppe in terra e un attimo prima che la
cortina li avvolgesse completamente gli sussurrò con un sorriso, “Danzi davvero
bene. A presto.”
Quando Phantom provò a sincerarsi
che stesse bene lei lo allontanò in malo modo scansando il braccio proteso
verso di lei. Per un attimo questi stava per risponderle qualcosa ma l’Uomo
Rana gli pose la mano sulla spalla e gli fece un cenno che voleva dire di
portare pazienza.
“Siete contenti? L’avete fatto
scappare!”
“Non siamo contenti,” convenne Eugene e aggiunse subito” né tanto meno lo abbiamo fatto
scappare. Hai visto anche tu che era decisamente più bravo di te. Forse, se
Phantom fosse stato in condizioni fisiche migliori, insieme avreste potuto
tenergli testa e se il mio costume fosse stato al pieno dell’efficienza…”
“Voi due siete completamente
pazzi! Di cosa vai blaterando? Voi due non avreste potuto far niente. Tu hai
uno stupido costume da rana che ti permette di spiccare dei salti come se fossi
su di un trampolino a molla. Lui può diventare invisibile ma niente di più.”
“E tu non hai neanche questi di
poteri e pure fai ciò che devi.”
Lei rimase zitta, squadrandoli da
capo a piedi entrambi. Sospirò e fece cenno loro di seguirli, la polizia era
arrivata ed era meglio per loro non farsi trovare lì.
Erano giunti sul tetto di un
vecchio magazzino che si trovava nella zona più vecchia dell’East Side e lei si
era seduta sul ciglio con le gambe a penzoloni, intenta in delle silenziose
meditazioni che nessuno dei due volle interrompere finché non fu lei per prima
a parlare:
“Mi dite che cosa volete da me?”
“Lo sai,” fece tranquillo Eugene.
“No che non lo so.”
“Vogliamo lavorare con te.”
“Volete lavorare con me? Allora
avevo ragione: siete pazzi.”
“Ehi!” Esclamò indignato Phantom”
Bada a come parli! Senti, capisco che possiamo non andarti a genio ma porta
rispetto. Non siamo venuti qui per insultarti mentre tu non fai altro che
mortificarci e rovesciarci addosso il tuo veleno. Non mi importa che opinione
tu possa avere di noi, devi comunque portarci rispetto. Il mio amico è venuto
qui per parlarti, vuole farti una proposta. Ascoltala e poi ci dirai se ce ne
dobbiamo andare o no.”
Lei dette uno sguardo al panorama,
tornando a rinchiudersi nelle sue meditazioni per un po’ e poi, dopo aver fatto
spallucce, si voltò nuovamente verso di loro.
“Sentiamo un po’. Se ho capito
bene volete propormi di collaborare con voi?”
“No,” le rispose Eugene.
“No? Aspetta, non sto capendo
allora.”
“Prima ho detto che vorremo essere
noi a collaborare con te. Tu sei brava, sai come si combatte e conosci bene
l’ambiente. Sai muoverti, e se ci insegnassi quello che sai, potremmo fare
molto di più per la comunità e ancora di più se potessi combattere insieme.”
“Io non combatto.”
“Tu salvi le persone che si
mettono un costume e decidono di fare i super eroi, lo so, l’ho capito.”
“Non vuoi chiedermi perché?”
“No. Non ne ho bisogno.”
“Davvero?”
“Sai perché io e Phantom facciamo
tutto questo?”
“Perché?”
“Non per il brivido dell’azione.
Non per l’avventura. Non per la gloria o la notorietà. Lo facciamo perché io ho
un costume che mi permette di fare salti come se fossi continuamente su di un
trampolino a molla e perché lui sa diventare invisibile. Lo facciamo perché
proprio la, dove guardavi prima, potrebbe esserci qualcuno a cui questo
potrebbe essere utile, qualcuno che potrebbe essere salvato o quanto meno
aiutato da una coppia di svitati che indossano rispettivamente un costume da
rana ed uno da fantasma. È lo stesso tuo motivo: tu lo fai perché sai farlo e
puoi aiutare chi ha bisogno del tuoi aiuto; non voglio sapere perché proprio
gli aspiranti vigilantes. Non voglio entrare nella sfera del tuo intimo, del tuo
privato. Voglio solo dirti che hai un
talento eccezionale che ti mette nelle condizioni di fare molto bene e puoi
moltiplicare questo bene, se ci insegni e se ci lasci venire con te. Ascolta,
sai benissimo che se ci dicessi no, noi comunque continueremmo. Ovviamente sei
libera di farlo, non ce la prenderemmo.”
Blue Bird gli si avvicinò, dopo
essersi alzata e lo guardò dritta negli occhi, cosa che un poco lo mise a
disagio.
“Non siete più passati al locale.”
“Non volevamo metterti in
imbarazzo. Non riveleremo a nessuno chi sei in realtà.”
“Me lo aspettavo.”
“Davvero?”
“Siete stupidi ma dannatamente
leali.”
“E allora? Cosa ci rispondi?”
Lei si volto e senza dire nulla
corse spiccando un balzo verso il tetto dell’edificio attiguo e, senza girarsi,
disse loro, “stanotte, alla chiusura dello Strange Palace, fatevi trovare sul
retro.”
Non aggiunse altro e scomparve
rapidamente alla loro vista.
“Fiuu… questa si che è un uscita
di scena! Sei sicuro che sia la cosa giusta da fare?”
“Phantom, non sono mai stato così
sicuro in tutta la mia vita,” rispose Eugene che ancora vedeva il delizioso
fondo schiena di lei muoversi armoniosamente mentre balzava con grazia e
leggerezza.
Waterfront
bar, Queens, N.Y.C. – Giovedì ore 11.00 a.m.
Mary Jane guardò l’elegante orologio
da polso che le aveva regalato per il suo ultimo compleanno zia Anna.
Era in ritardo di un quarto d’ora
e si chiese a quel punto se sarebbe venuta o pure no. Indossava un paio di
occhiali da sole scuri, un paio di jeans non troppo aderenti, ed una maglietta
grigia e verde con su lo stemma dell’E.S.U. che le aveva comprato Peter durante
l’ultima fiera che si era svolta al campus, scarpe da ginnastica Rebook
bianche. Non si era truccata e portava i capelli legati. Un paio di tizi
avevano cercato di rimorchiarla e quando si erano fatti troppo insistenti, lei
li aveva gentilmente fatto capire che non
sarebbe andata con loro neanche in un milione di anni.
Sorseggiò il succo d’arancia che
aveva ordinato e quando la porta si aprì facendo suonare il campanello, vide
Ilya entrare trafelata. Lei la cercò con lo sguardo e M.J. le fece un cenno con
la mano per segnalarle che si trovava seduta a quel tavolo.
“Scusami!” Disse respirando affannosamente la giovane” Ho cercato di sbrigarmi ma la strada principale che porta qui è
ancora in riparazione dopo quello che ha fatto lo Scorpione.”
“Non fa nulla. Si tratta solo di
un quarto d’ora di ritardo. Allora, che cosa c’è che dovevi dirmi così
d’urgenza?”
“Si tratta di una cosa che
riguarda Peter, tuo marito.”
“So bene che è mio marito,”
ribatté lei con un sarcasmo che lasciò spiazzata l’altra per qualche istante.
Tuttavia, nonostante l’espressione ostile sul volto della rossa, si fece
coraggio e riprese, “So che è in Europa per una specie di convegno e ancora non
si sa quando rientrerà. Non so come mettermi in contatto con lui…”
”Ma davvero?”
“Davvero!” Fece improvvisamente spazientita Ilya” Peter stava lavorando ad un progetto importante e con ottimi
risultati da quello che ho capito. È un ricercatore capace e brillante e il
fatto che così giovane ancora senza dottorato, sia riuscito ad ottenere quel
posto, ha suscitato l’invidia di parecchie persone. C’è un certo dottor
Malakov, un tipo viscido e pericoloso, che vorrebbe farlo cacciare via. Ho
sentito che tentava di mettergli contro il professor Glass, la persona che
potrebbe farlo.”
Una cameriera passò per prendere
l’ordinazione di Ilya che, dopo un attimo di indecisione, chiese un caffè.
L’ambiente del Waterfront era
vecchio stile, anni ’20 per l’esattezza. Si trattava di un locale frequentato
soprattutto da poliziotti ed era gestito per l’appunto da poliziotti ed ex
poliziotti. Fu Peter a parlare a M.J. di quel posto. George Stacy lo portò lì
un po’ di volte quando volle conoscerlo meglio allorché cominciò a frequentare la
figlia, Gwen ed ogni tanto, lui ci tornava, specie quando si sentiva un po’
depresso o giù e voleva chiacchierare nella sua testa con il defunto amico e
padre del primo grande amore della sua vita.
“Fammi capire, mi stai dicendo che
questo Malakov vorrebbe fare le
scarpe, professionalmente parlando, a mio marito?” Sottolineò ancora una volta
la parola marito con grande insistenza e scoccando da dietro gli occhiali uno
sguardo che pareva voler penetrare l’animo della sua interlocutrice.
“Si. Malakov diceva che Peter, suo
marito Peter, è inaffidabile.”
“Perché?”
“Dice che lui…”
“No, perché hai voluto vedermi?”
Ilya la osservò stupita. Balbettò
un paio di volte, e poi, quasi incredula, disse, “Ti sto dicendo che tuo marito
potrebbe essere licenziato a causa delle manovre di un viscido individuo, e tu
mi chiedi perché? Perché vorrei che tu glielo dic…”
Si accorse che stava alzando la
voce e l’arrivo della sua ordinazione la prese in contro piede. Ringraziò,
imbarazzata e cominciò a girare nervosamente il suo caffè mentre la famosa
attrice continuava a scrutarla senza dire nulla. Era davvero bellissima, i suoi
lineamenti erano di una bellezza fuori dal comune e sembravano il frutto del
lavoro di un pittore fiammingo. Si chiese come aveva potuto pensare di competere
con lei.
“Ilya, tutto questo avresti potuto
dirmelo per telefono. Perché mi hai voluto incontrare?”
“Io pensavo che…” Non riuscì, con
suo stupore, a terminare la frase.
“Tu sai che io e Peter abbiamo
passato un momento difficile, vero?”
“Si,” ammise con riluttanza dopo
qualche istante di mutismo.
“Ci sono state delle
incomprensioni tra di noi, dovute ad un periodo stressante per entrambi. Tu e
Peter sembrava buoni amici. Cosa c’è stato tra di voi?”
“Come?! Cosa stai dicendo?”
“Quando sei venuta a vedere Moulen
Rouge con la tua amica, ho subito sospettato che ti piacesse per via di come lo
guardavi. Ora rispondimi, che cosa c’è stato tra di voi?”
Ilya avrebbe voluto scoppiare in
lacrime, accasciarsi sul tavolino lasciandosi andare alla disperazione che
prepotentemente sentiva montarle dentro ma invece, scelse di mantenere integra
la sua dignità è rispose francamente: “Ci siamo baciati.”
Mary Jane si lasciò scappare un
gemito che però riuscì a soffocare quasi subito. Strinse un istante il
bicchiere con più forza e poi domandò ancora:
“E poi?”
“Solo un bacio e sono stata io a
darglielo.”
“Dopo di ciò?”
“Peter ti ama.”
“Lo so ma dopo di ciò?”
“Non c’è stato nulla, credimi.”
“Ti credo.”
“Ed ora che hai saputo come stanno
le cose?”
Mary guardò verso la grande
vetrata il paesaggio di fuori. Il locale era stato costruito in uno degli
angoli più belli di quella zona e pareva davvero di trovarsi in qualche
giardino beato, in un porto lontano dagli eccessi e dai mali del mondo moderno,
dove i vedeva passeggiare tranquillamente coppie di anziani e il verde pareva
non soffrire per la presenza delle case e dei viali.
“Grazie,” disse non senza sforzo.
“Per cosa?” Chiese lei i cui occhi
si erano inumiditi.
“Per avermi detto la verità.”
“Non mi hai risposto,” insistette.
“Questa conversazione sarà il
nostro segreto.”
“Non dirai niente a tuo marito?”
“Non dirò niente a mio marito e
sai perché?”
“Speri che sia lui a dirtelo.”
“È strano, è la prima volta che
parliamo eppure sembri conoscermi davvero bene. Tu credi che lo farà?”
“Peter è un uomo onesto,
eccezionale e ti ama veramente e ama alla follia vostra figlia.”
“Ora sei tu che non rispondi.”
“Si! Si e mille volte si! Devi
solo dargliene il tempo e il modo.”
“Ha tutta la vita a disposizione.”
“Lo perdonerai?”
“L’ho già fatto.”
“E se non dovesse dirtelo mai?”
“Rimarrei delusa ma l’ho già
perdonato.”
“Lo ami?”
M.J. sorrise. “Io morirei mille
volte per lui. Anche tu lo ami, vero?”
“Vorrei dirti che lo amo con la
tua stessa intensità. Mi ha conquistata un po’ alla volta sai? Se solo fossi
arrivata prima.”
“Sono fortunata allora che non sia
stato così,” disse sorridendo M.J. sulle cui guance scorsero un paio di
lacrime. Ilya si trattenne con tutte le proprie forze e ricambiò il sorriso
gentile. Le prese la mano e le disse, “Le cose vanno come devono. Io sono stata
soltanto un incidente di percorso, tu sei l’amore della sua vita. Non c’è
storia. Tra noi due non ci sarà mai nulla e quel bacio è stato solo un episodio
isolato, qualcosa che non si ripeterà mai più.”
“Lo so. Dovrei dire che mi
dispiace per te.”
“Mentiresti. Strano, un’attrice
non dovrebbe farsi problemi a mentire,” disse prendendola gentilmente in giro.
“Ne diciamo tante sui set che
preferiamo non farlo fuori da essi. Almeno questo vale per me. Se non fosse
stato per questa storia, avremmo potuto essere buone amiche.”
“Te l’ho detto, le cose vanno come
devono.”
“Non ci vedremo più.”
“Non ci vedremo mai più. Addio
Mary Jane. Sii felice per la bellissima vita che hai.”
Si alzò senza aggiungere altro,
pagò il suo caffè, e se ne andò via.
“Avrei dovuto dirti che mi
dispiaceva,” disse tra sé e sé” e mi dispiace. So cosa significa avere
dei rimpianti, so cosa significa sentirsi la numero due. Non c’è un solo giorno
della mia vita in cui non senta, dentro
di me, che Peter pensi ancora a Gwen e che, nel suo intimo, sogni e desideri di
aver sposato lei. So che mi ama e so che ama May con tutto sé stesso ma è così
e sarà sempre così. Io continuerò ad amarlo e ad essergli vicino e a dargli
tutta me stessa, semplicemente perché Peter Parker, insieme alla nostra
bambina, è la cosa migliore che potesse mai capitarmi. Addio Ilya.”
Mary Jane a sua volta si alzò,
pagò, ed uscì lasciando che il Sole le inondasse il viso, e, liberatasi da quel
peso, smise di trattenere il pianto che cominciò a portarsi via tutta la
tristezza che aveva accumulato dentro in quel periodo.
Osborn
Mansion – Martedì 2.46 p.m.
Norman Osborn lanciò un amorevole
occhiata a suo nipote Norman Jr, che stava seduto al grande tavolo che una
volta considerava la propria scrivania a lavorare su un modellino di un
castello medievale che gli aveva regalato qualche giorno prima. Aveva notato
che adorava quel genere di cose e si era ripromesso di aiutarlo.
“Allora Ethan?”
Il dottor Lizier si era accomodato
su di una poltrona all’inglese di pregevole fattura.
“Norman, so che non sono affari
miei ma di solito spii i tuoi familiari?”
Disse facendo un cenno con il capo
in direzione del vetro da cui l’importante uomo d’affari stava guardando la
scena.
“Ti pare strano che un nonno
tragga diletto dal vedere il proprio amato nipote giocare felice?”
“Mi pare strano che tu abbia
piazzato uno specchio magico nella stanza degli Hobby!”
“Voglio solo sincerarmi che mio
nipote stia bene!”
“Fai come ti pare, la vita e tua.
Mi dispiace che quell’amore di bambino debba crescere qui, in questa specie di
mausoleo con un nonno paranoico e dispotico.”
Lo sguardo di Norman era eloquente
ma a Ethan non importava molto. Era per questo che il primo l’aveva scelto come
suo medico personale. Non avrebbe mai fatto nulla per compiacerlo, non gli
importava nulla di essergli simpatico: faceva solo il suo lavoro, meglio che
poteva;
“Bene, visto che entrambi
concordiamo sulla questione che la mia vita la gestisco io come meglio credo,
ora potremmo parlare di come prolungarla.”
Ethan prese una bottiglia
di scotch appoggiata su un elegante tavolino francese del tardo
diciottesimo secolo e si versò tranquillamente da bere nel bicchiere che da un
po’ teneva in mano. Norman attese pazientemente, picchettando con il dito sulla
testa di una statuetta di bronzo raffigurante il dio mercurio.
“Norman,” fece con tono grave e scandendo bene le parole” te l’ho già detto settimane fa: non
posso prometterti una cura miracolosa. Il tuo organismo è stato duramente
provato da anni di continue alterazioni e improbabili operazioni di
potenziamento. La terapia a cui ti ho sottoposto finora è servita più che altro
ad arginare i danni, a rimandare qualcosa di ormai inevitabile.”
“Inevitabile!” Si lasciò scappare
in preda ad uno scatto di ira.
“Puoi arrabbiarti,” replicò con calma il dottore” ma la situazione non cambierà anzi,
nelle tue condizioni dovresti evitare ogni possibile stress.”
“Non ci posso credere! Con tutto
quello che ti pago! Con i mezzi della Oscorp a tua disposizione!”
“Rimane il problema: il D.N.A. è
una cosa delicata e non la si può stuzzicare impunemente per anni; il tuo
fattore di rigenerazione ha fatto questo ed era lui, allo stesso tempo, ad
impedirgli di crollare su sé stesso come un castello di carte. Errore dopo
errore, il sistema intero è divenuto fallato ed ora che si è esaurito il tuo
potere di guarigione, beh, senza l’impalcatura che lo sosteneva, anche se a
forza, tutto si sta sfaldando rapidamente. Non fraintendermi, sto cercando
veramente di aiutarti ma non è semplice. Ogni intervento che ho studiato con
gli altri medici, implicherebbe una serie di rischi enormi, la tua morte
sarebbe quasi sicura o potrebbe capitarti anche di peggio.”
“Peggio di morire?”
“Norman, potrei magari evitarti la
morte ma danneggiarti così tanto da inchiodarti per tutta la vita su di un
letto, come se tu fossi un vegetale.”
Osborn tornò a fissare il vetro e
la scena al di là di esso. Ethan sapeva che ora stava silenziosamente
piangendo, stretto nella morsa della paura ma che non voleva farsi vedere.
“Raggiungimi nel mio studio
domani, io torno al centro per vedere se quelle prove con i tuoi campioni di
sangue hanno dato i loro frutti. Ah… Norman… c’è una cosa… non posso
prometterti niente ma, ho letto tempo fa un lavoro interessante di un giovane
studente universitario sulle proteine e il loro rapporto con i cromosomi.
Teorizzò delle cose molto interessanti e magari potrei interpellarlo. Anche se
non è un dottore e si stava laureando in chimica, ho idea che potrebbe esserci
molto d’aiuto. Si chiama Parker, Peter Parker. Ti farò sapere quanto prima.”
Non aggiunse altro ed uscì dalla
stanza.
Il silenzio continuò a regnare per
diversi minuti mentre Norman, ora, guardava il riflesso del suo viso che stava
con la bocca spalancata.
Volo di linea Roma – New York. Ore 12.00 p.m.
L’atlantico cominciò a scorrere
sotto l’imponente veicolo e Peter Parker capì che la sua avventura europea era
ufficialmente terminata. Ripensò al doppio addio al suo amico Warwolf,
all’abbraccio e alla promessa di quest’ultimo di venirlo a trovare prima o poi
nella sua città. Si era sempre chiesto come sarebbe stata la sua vita se avesse
avuto un fratello più piccolo e il ragazzo lupo era divenuto un po’ questo per
lui. Kaine e Ben erano praticamente dei gemelli ma se fosse stato il fratello
più grande di qualcuno, chissà, forse sarebbe stata completamente diversa. Gli
sarebbe mancato Romeo e gli sarebbe mancato anche il suo nuovo amico Rugantino
e lo squinternato Polidori. Gli mancava Darion, colui il quale gli aveva
insegnato nuovamente il valore della fede.
Stava tornando dalle persone più
importanti della sua vita carico di nuove esperienze e con nuovi legami.
Ripensò nuovamente, come gli capitava spesso ultimamente, allo Stregone dei
Ragni, ai suoi enigmi, alle sue profezie e cercò di vederci un senso. La
visione del licantropo che moriva, ora lo turbava come non mai ed altri
particolari ora gli si stavano palesando, dettagli prima trascurati che ora gli
parevano di importanza capitale. Il futuro che gli era stato predetto, si
sarebbe avverato davvero? Lui, o uno dei suoi fratelli, sarebbe davvero
divenuto una minaccia per l’intero creato? Si coprì il volto con le mani, quasi
volesse scacciare via quelle immagini, quei suoni e si concentrò sul volto
sorridente di Darion, sulle sue battute, sul modo in cui affrontava la vita ed
i pericoli, con cui viveva i suoi sentimenti, positivi e negativi che fossero.
Si concentrò su Warwolf, sulla sua ingenuità, sul suo coraggio, sulla sua
voglia di aiutare il prossimo. Si concentrò su Rugantino, un uomo senza volto
ma il cui valore era indiscutibile.
Pensò anche al giovane tenente
della missione alla fortezza saracina, al Crown e alla giovane Flare che era
rimasta ferita durante lo scontro in Inghilterra. Pensò alle Brigate Azzurre e
al fiero Enea. Possibile che avesse vissuto tutto quello in poche settimane?
No, dal suo punto di vista era passato anche più tempo visto che era finito in
un altro Universo.
Si lasciò scappare un sorriso ma
poi si rabbuiò subito, ricordando che di mezzo a tutto questo c’era il
P.H.A.D.E.
“Loro sapevano,” si disse tra sé e
sé, colto da un improvviso moto di rabbia. Non potevano ignorare la vera natura
di Quest visto che gli davano la caccia da diverso tempo. L’avevano mandato
praticamente al macello, senza avvertirlo e lui, come uno stupido, si era messo
alla testa di una vera e propria missione suicida. Ci doveva essere una
motivazione, una spiegazione. Quale vantaggio poteva trarre il P.H.A.D.E. da
tutto questo? Chi erano veramente e chi era veramente Daphne Miles? Altre
domande che ronzavano dentro il suo cranio, come animali selvaggi che
reclamassero il loro pasto.
Doveva parlare con Rucker, quanto
prima, quello che era accaduto non poteva e non doveva assolutamente essere
sottovalutato. Socchiuse gli occhi, mentre gli pareva di essere nel letto della
casa scozzese di sua moglie, mentre la vecchia Mairi si prendeva cura di lui
come quando da piccolo, faceva zia May. Si sentì il cuore preso in una morsa.
Zia May non c’era più e gli occhi gli si inumidirono. Era strano come non
avesse accettato la cosa, facendo praticamente finta di niente. Il senso di
ragno vibrò con forza tale che quasi saltò sul posto. Preso com’era dalle sue
speculazioni non si era accorto del suo sommesso ronzare e si dette dello
stupido.
“Fermi tutti! Questo è un
dirottamento!”
“Oh cazzo…”
Riuscì solo a dire Peter Parker.
Fine episodio.
Un grazie a tutte quelle persone
che rendono possibile questo mio sogno
e danno un senso al mio scrivere.
Un saluto a tutti quelli che mi
leggono e ai miei supervisori.
Un bacio alla Donna della mia
vita, che mi incoraggia e mi da sempre forza per andare avanti.
Un grazie speciale a Michele di
Nardo, la cui collaborazione ultimamente si sta rivelando preziosa, e a Miguel
Miglionico, il mio mentore.
Un grazie a Carlo Monni, i cui
consigli mi sono stati utilissimi!
Un saluto a tutti quanti voi.
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